La palpazione

Published On: Febbraio 11, 2019Categories: ApprofondimentiCommenti disabilitati su La palpazione

La palpazione è un arte che può essere insegnata solo a se stessi”
Rollin Becker DO

La capacità palpatoria è uno dei fondamenti della pratica clinica osteopatica. Per noi osteopati è un metodo essenziale per valutare le disfunzioni e selezionare le tecniche di trattamento più idonee.
Anche secondo la medicina classica la palpazione è importante, essendo definita come metodo d’indagine clinica e una manovra semeiologica manuale, che si basa sulla sensibilità propriocettiva del medico e costituisce uno dei classici cardini dell’esame obiettivo del paziente ricavando così informazioni tattili utili ai fini clinici come ,temperatura, consistenza, grado di resistenza, presenza di pulsazioni, vibrazioni, dolore, ecc…
E’ una delle più vecchie forme di diagnosi ed è considerata da sempre come uno dei metodi d’esame più efficaci.

La palpazione quindi è uno strumento essenziale per l’osteopata. I nostri grandi maestri insistono sull’importanza dell’acquisizione di buone capacità palpatorie. Sutherland diceva: ”La tecnica osteopatica consiste in un’applicazione intelligente della sensibilità tattile…Un tatto ben allenato è un principio essenziale dell’osteopatia; ed è essenziale sia per la diagnosi che per il trattamento… ciò non si impara osservando altri colleghi manipolare, ma la si apprende e la si acquisisce solo posizionando le mani in modo corretto e di seguirle come se fossero un monitor della palpazione intelligente, come se vedessero, se ascoltassero, se pensassero…” (da The Cranial Bowl).
La palpazione per l’osteopata non si limita ad essere una “raccolta di dati”: il concetto di palpazione intelligente porta a sentire, ascoltare, percepire e individuare cambiamenti nella consistenza dei tessuti attraverso le mani.
Rollin Becker disse: “solo i tessuti sanno”. Il problema è entrare in relazione con i tessuti e far dir loro ciò che sanno, metterli in comunicazione tra loro, cosa che può avvenire solamente attraverso la palpazione.

I parametri soggettivi della palpazione.

Presenza, intenzione, attenzione, visualizzazione sono i parametri soggettivi della palpazione, ne caratterizzano la qualità e sono indispensabili per entrare in comunicazione col paziente.

Presenza: significa occupare lo spazio presente, occupare il momento presente. E’ l’essere “hic et nunc” (qui e adesso). Il termine presenza deriva dal latino “praesentia” che significa “essere innanzi”, “al cospetto di”.
Il fatto di essere presenti richiede la consapevolezza di ascoltare sia la parola che il corpo del paziente. Spesso siamo talmente presi da noi stessi che non cogliamo neanche i messaggi verbali che il paziente ci comunica. Quindi la presenza è necessità primaria per iniziare un rapporto col paziente, verbale quanto fisico.

Intenzione: è ciò che si intende fare per raggiungere un dato fine. E’ il punto di partenza di tutti gli eventi, se non c’è intenzione non c’è alcuna azione. La comunicazione segue questa regola: se noi comunichiamo con qualcuno significa che abbiamo l’intenzione di dirgli qualcosa e che egli comprenda. Nella palpazione avviene lo stesso: cosa desidero fare quando poggio le mani sul paziente? Cosa vogliamo sentire? Le informazioni che otterremmo saranno subordinate alle nostre intenzioni.
L’intenzione è la sorgente del tipo di sensazioni, di movimenti che voglio andare a percepire: se la nostra intenzione è quella di percepire la pulsazione cranica la percepiremo, se vogliamo sentire lo “srotolamento “ di un tessuto che si libera dalle tensioni lo sentiremo. Dunque quando noi poggiamo le mani sul paziente è necessario avere ben chiaro cosa si vuole fare. E’ importante incanalare accuratamente la nostra intenzione perché ciò che si percepirà sarà direttamente collegata alla precisione dell’intenzione.

L’attenzione è strettamente collegata all’intenzione se vogliamo che la percezione non sia inquinata da altri parassittaggi.
Attenzione: è un altro elemento molto importante per la comunicazione e quindi per la palpazione. Dal latino attenzio-onis cioè rivolgere l’anima; è l’atto con il quale la mente si rivolge ad un oggetto; è quel processo in base al quale l’organismo focalizza la sua attività nervosa e psichica su uno stimolo o un insieme di stimoli che giungono al campo percettivo. Nella psicologia strutturalista l’attenzione era vista come una caratteristica della coscienza, mentre per altri autori l’attenzione era già posta fuori dalla coscienza come un processo che la precede e ne seleziona e ne prepara l’attività. Potremmo quindi definirla come la capacità di selezionare tutti gli influssi che prevengono, quelli interessanti e quelli meno,e anche selezionarli per quanto concerne la loro qualità (vista, udito, gusto, tatto, ecc…) e loro possibile localizzazione nello spazio. Per esempio: siamo ad un incontro mondano e il luogo è pieno di gente e il brusio è più o meno forte ad un certo punto riconosciamo un amico e iniziamo a parlare con lui. Abbiamo fatto diverse cose coinvolgendo l’attenzione in modo rilevante. Notando l’amico la nostra attenzione che prima inglobava un largo spazio definito si è localizzata su uno spazio ristretto inglobando l’amico noi stessi e lo spazio che ci separa. E’ ovvio che non è lo spazio che si è ristretto ma il nostro spazio di percezione. Inizialmente ricevevamo tutti gli stimoli senza discriminare in un secondo momento abbiamo selezionato il tipo di stimoli percepiti. Allo stesso modo potremmo ricevere da un corpo vivente una moltitudine di informazioni che coesistono,e che noi non discerniamo né isoliamo.
Così, quando ci mettiamo in relazione con il paziente ascoltando con la palpazione le sensazioni che ci pervengono, riceviamo una miriade di informazioni, messaggi dati dai movimenti quali la pulsazione cardiaca, la respirazione toracica,movimenti legati alla vita cellulare, al funzionamento del MRP,della fascia, ecc… E’ la nostra attenzione che ci consente di isolare e percepire distintamente ciò che vogliamo, trascurando gli altri elementi che comunque coesistono durante la palpazione. Ad esempio, quando “ascoltiamo” il cranio è la nostra attenzione che ci fa discriminare il movimento della pulsazione sanguigna dall’MRP, o quando ascoltiamo le fasce della cassa toracica è sempre la nostra attenzione che ci fa discriminare il movimento della respirazione toracica dal movimento intrinseco delle fasce.

Quindi l’intenzione crea l’azione, mentre l’attenzione determina su che cosa essa va a localizzarsi. L’intenzione quindi modula l’attenzione. E’ importante però non indurre nulla: l’intenzione guida l’attenzione ma bisogna stare attenti a non incitare i tessuti che stiamo palpando o faranno esattamente quello che noi stiamo inducendo con le mani. Dobbiamo limitarci all’ascolto.

Visualizzazione: significa rendere visibile qualcosa, rappresentare mediante immagini. Per percepire correttamente le informazioni che ci arrivano da una parte del corpo,abbiamo detto, è importante che la nostra attenzione sia rivolta verso quella parte del corpo che noi stiamo ascoltando. E’ proprio partendo da questo che noi percepiamo esattamente ciò che ci perviene dai tessuti. Se la nostra attenzione non è focalizzata non riusciremo più a collegare le sensazioni che percepiamo con il tessuto stesso e quindi per discernere bene è importante che la nostra attenzione sia sui tessuti e non sulla nostra mano. Ed è proprio in queste circostanze che la nostra conoscenza anatomica ci viene in aiuto; l’attenzione per fissarsi ha bisogno di una realtà che nel nostro lavoro è la realtà anatomica, la visualizzazione anatomica. La nostra conoscenza anatomica ci permette di rappresentare, di visualizzare mentalmente la regione che stiamo palpando. Uno dei principi filosofici dell’osteopatia è: anatomia, anatomia e ancora anatomia. Uno dei fini del nostro studio anatomico è quello di ottenere un’immagine anatomica corretta: non tutte le zone del corpo che vogliamo percepire sono direttamente visibili; molte sono profonde e non accessibili alla vista. Ma se si ha una buona visualizzazione mentale quello che noi percepiremo verrà da quella determinata zona che noi stiamo immaginando. Visualizzare correttamente l’anatomia è importante per dare un significato anatomico a ciò che si percepisce. Come sarebbe possibile interpretare il movimento delle ossa del cranio sentito sotto le mani senza avere una chiara immagine delle ossa del cranio? O meglio come si possono interpretare le sensazioni tattili che ci pervengono dal contenuto cranico senza avere un immagine anatomica precisa delle varie strutture all’interno del cranio?
Le nostre conoscenze anatomiche quindi ci permettono di comprendere realmente ciò che sentiremo sotto le nostre mani e la visualizzazione è quella che ci permette di avere percezione anche dai tessuti molto profondi contenuti all’interno delle cavità craniche, toraciche e addomino-pelviche.

Parametri oggettivi della palpazione

Nel paragrafo precedente la domanda che ci siamo posti era come doveva essere effettuata la palpazione in relazione alla comunicazione; ora per capire quali sono i parametri oggettivi della palpazione bisogna porsi un’altra domanda: “cosa devo palpare?”
Tali parametri sono legati alle qualità fisiche del tessuto biologico e quindi legate all’organismo vivente e all’organizzazione stessa della materia vivente.
Il corpo, appartenente all’universo fisico, è costituito da materia, e come tale è organizzata nello spazio e nel tempo e ciò che fa muovere la materia è l’energia intrinseca della materia stessa.
Se mettiamo in relazione questi elementi, energia, massa, spazio e tempo, otteniamo vari rapporti che esprimono alcune qualità della materia.
Quelle che interessano a noi come osteopati sono in particolar modo la densità, la tensione , la velocità. Essi caratterizzano un tessuto in movimento.

La densità: è il rapporto tra massa e volume di una sostanza quindi è la quantità di materia in rapporto allo spazio; indica quindi l’impregnazione di energia di quella parte di materia e quindi anche la relazione tra energia e spazio. Quando vado a palpare la densità di un tessuto cerco la compattezza e la corposità di un tessuto.
Le strutture del corpo non hanno tutte la stessa densità, la densità di un muscolo è diversa da quella di un osso o da quella di un organo, un di un viscere o di una fascia. Quindi è importante durante la palpazione prestare “attenzione” a quale tessuto vogliamo sentire e la densità del tessuto che si vuole mobilizzare è un elemento importante: più un tessuto è denso, più tempo occorrerà per modificare la sua consistenza di stato iniziale.
Il concetto di densità quindi è fortemente legato al fatto che la materia è energia concentrata, ordinata, stabilizzata nello spazio e nel tempo di conseguenza conviene regolare la palpazione alla densità dei tessuti che si vogliono trattare.

La tensione: termine che, nell’uso scientifico, è passato dalla meccanica intesa come elasticità ad altri campi. Un esempio pratico è rappresentato dal confronto tra due palloni, uno più gonfio rispetto all’altro: i due oggetti avranno una tensione (tensione di superficie) e una elasticità diversa fra loro. Sono queste sensazioni tattili ad indicare la tensione di un tessuto.
Il ritmo del tessuto: si riferisce al movimento di un tessuto. Dal punto di vista fisico è la relazione fra spazio e tempo: un corpo che si muove nello spazio e nel tempo. E’ quindi la propensione di un corpo al movimento. Il movimento di un tessuto può essere lento o rapido e quanto più è denso un tessuto tanto più è lento. E’ quindi la capacità di un tessuto di far circolare l’energia, intesa in questo senso come espressione di movimento.
Secondo la fisica moderna tutto è energia. L’energia di un corpo o di un sistema è definita come la sua attitudine, capacità, di compiere un lavoro; ma non è facile dare una definizione di energia in quanto questa è strettamente collegata alla definizione stessa di che cos’è la vita.
Infatti ogni organismo biologico, per vivere deve compiere in continuazione operazioni di vario tipo: sintesi, demolizione, trasferimento di sostanze, lavoro osmotico, elettrico, ecc… e tutti questi processi richiedono energia. Ciò implica il fatto che il movimento di un corpo avviene grazie all’energia del corpo ed è allo stesso tempo espressione di energia. Un sistema biologico, per mantenere un buon stato di salute, deve quindi dar luogo con continuità a scambi energetici (comunicare) sia con l’ambiente interno che esterno alla cellula stessa. Quando, per vari motivi, ciò non accade lo stato di salute viene alterato: si determina uno stato di non comunicazione e una retrazione conseguente alla non comunicazione che modifica l’organizzazione stessa della cellula. Conseguenze sono l’aumento della densità perdita di elasticità, diventerà un punto di non movimento e quindi sarà perturbata la funzione stessa di quel tessuto.
Dopo aver identificati i vari parametri della palpazione si passa all’accordo palpatorio con il tessuto con il quale si intende comunicare: occorre essere in sintonia con il tessuto (sintonizzarmi) e questo è possibile solo se se mi metto in relazione con la densità, la tensione e la velocità del tessuto stesso. Questa è la chiave di accesso che apre la comunicazione e che mi potrà permettere di entrare nei tessuti e aiutare così il processo di autoregolazione. Il nostro lavoro quindi è quello di cercare le zone di restrizione con maggior densità, andare al loro livello di densità e attraverso la nostra intenzione e attenzione riequilibrare l’energia fino a quando qualcosa non si muove e la comunicazione riprende.. Quando questo accordo si realizza i tessuti liberano la loro energia accumulata mettendosi in movimento e liberando al loro volta l’energia accumulata anche sotto forma di calore.

Il silenzio terapeutico.

“ Il silenzio non ci appartiene, il silenzio è della musica, della natura, delle cose. L’uomo pretenderebbe di possedere tutto, ma il silenzio si può cercare oppure, per paradosso ascoltare.
L’ascolto non potrà possedere il silenzio, ma a verificarne l’impossibilità di esistere.” M. Brunello (2014)

Il respiro, la pausa, la sospensione, ossia il silenzio, entrano a fa parte fondamentale del pensiero terapeutico, creando delle percezioni nuove sul tessuto. Queste percezioni sono fondamentali per far capire al paziente i nuovi adattamenti corporei, dopo la tecnica.
Queste pause permettono di aumentare l’effetto parasimpatico sul corpo e nei soggetti più sensibili, capire il cambiamento del tessuto trattato.
Al contrario se invece stimoliamo con molte tecniche senza nessuna pausa, otterremo una risposta neurovegetativa simpatica. Questo è sicuramente la stimolazione non corretta per la maggiormente dei nostri pazienti.
L’errore comune per noi osteopati, e non solo nella nostra professione, che tutti noi abbiamo fatto per decenni nel pensare, che la tecnica fosse la considerazione primaria del trattamento e più ne faccio e forse meglio, per appagare il nostro ego o calmare la nostra insicurezza.
Il ritmo delle comunicazioni, ovvero le tecniche è fondamentale per una migliore sinergia col paziente, ma tutto questo s’impara dopo decenni di professione.

Nell’ascolto tessutale dobbiamo capire che tipologia di tessuto andiamo a palpare, ogni tessuto comunica in modo diverso e richiede tempi di correzione differenti, a causa del tempo che la disfunzione è presente, in questo caso dovremmo anche aspettare gli effetti di più trattamenti per un riequilibrio della zona, dell’emozione, o proprio della sulle caratteristiche tessutali di quella zona.
Un consiglio fondamentale se uno vuole imparare a sentire deve essere molto paziente e curioso, per poter scopriremo sensazioni nuove e risultati nuovi.
Una differenza tra tessuto osseo e i tessuto fasciale è bene evidente, l’osso ci richiederà del tempo per una disfunzione intra-ossea di 20 anni prima, un tessuto fasciale, molto meno, ma se è carico emozionalmente, facciamo un piccolo esempio ho una piccola distorsione al ginocchio. Lo strain legamentoso e fasciale non mi permette più di correre, il paziente ha un momento di molto stress e la corsa era la sua terapia, in questi casi i tempi diventano più lunghi perchè si è associato una componente emotiva.
Il tessuto endocrino richiede tempo e leggerezza. La sua sensazione e vibrante, bisogna capire se è ipo o iper, più facile a sentire e anche a correggere è l’iper. Possiamo avere disfunzioni di natura metabolica, vedi scompensi ormonali in pre-menopausa, come altre associate allo stress, come ben descritte da H.Selye (1958) definì come “Sindrome Generale di Adattamento”.
L’organismo quando è soggetto agli effetti prolungati di molteplici fattori di stress, quali stimoli fisici, mentali, sociali o ambientali, quando non riesce più l’adattamento si ha
l’evoluzione della sindrome avviene in tre fasi: Allarme, l’organismo risponde ai fattori di stress mettendo in atto meccanismi di fronteggiamento, che sono costituiti dall’aumento del battito cardiaco, pressione sanguigna, tono muscolare, spasmo, ed arousal (attivazione psicofisiologica). Resistenza, il corpo tenta di combattere e contrastare gli effetti negativi dell’affaticamento prolungato, producendo risposte ormonali specifiche da varie ghiandole, le ghiandole surrenali per esempio.
Esaurimento, se i fattori di stress continuano ad agire, il soggetto può venire sopraffatto e possono prodursi effetti sfavorevoli permanenti a carico della struttura psichica e/o somatica.
Quindi a seconda della fase del processo di attivazione del problema, il tempo di trattamento cambierà sulle disfunzioni ormonali abbinate allo stress, necessiterà più attenzione e tempo.
Un tessuto tumorale è denso e non vuole comunicare, ma poi cede e poi rapidamente torna la densità, se abbiamo delle sensazioni simili è consigliato dei controlli medici, anche perché la migliorare la circolazioni dei fluidi è una controindicazione in questo caso,ma in casi di pazienti terminali i trattamenti migliorano la qualità della vita finale del paziente.

Scritto da : Paolo Desirò

Condividi questo approfondimento!!!